La recente sentenza della Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – del 20.02.2019 n. 4951 conferma il principio in base al quale nel caso in cui ci siano una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, ai lavoratori di cooperative deve essere garantito un trattamento economico complessivo non inferiore ai minimi previsti dal c.c.n.l. di categoria sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative.
Le società cooperative possono scegliere il contratto collettivo da applicare ma non possono riservare al socio lavoratore un trattamento economico complessivo inferiore a quello che il legislatore ha ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di sufficienza e proporzionalità della retribuzione (ex art. 36 Costituzione).
E’ stato posto all’attenzione della Suprema Corte il caso di un socio lavoratore di una cooperativa, esercente attività di vigilanza e guardianato in regime di appalto, al quale veniva applicato il c.c.n.l. dei “Portieri e Custodi”. Il socio lavoratore rivendicava il diritto alla retribuzione sulla base delle tabelle paga del c.c.n.l. “Pulizie Multiservizi”.
Viene infatti evidenziato che:
La Suprema Corte di Cassazione , con la recente sentenza, conferma che la Legge 142/2001 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore) nasce nell’ottica di estendere ai soci lavoratori di cooperativa le tutele proprie del lavoro subordinato, all’art. 3 viene indicato che
le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine.
In questo contesto è intervenuto il D.L. 248/2007, convertito in legge n. 31/2008, che all’art. 7 ha previsto che in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative devono applicare ai propri soci lavoratori i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.
La Corte di Cassazione richiama, pertanto, la sentenza della Corte Costituzionale n. 51/2015, la quale rammenta, anzitutto, che il Decreto Legge 248 del 2007 è nato a seguito di un Protocollo d’intesa firmato dal Ministero del Lavoro e sviluppo economico e le più rappresentative sigle sindacali e datoriali al fine avviare ogni idonea iniziativa amministrativa affinché le cooperative adottino trattamenti economici complessivi del lavoro subordinato.
Si sottolinea, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, la necessità di fare riferimento ai
contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali più rappresentative, quale parametro esterno indiretto di commisurazione del trattamento economico complessivo ai criteri di proporzionalità e sufficienza, previsti dall’art. 36 della Costituzione, di cui si impone l’osservanza anche al lavoro dei soci di cooperative.
Ed inoltre:
l’attuazione per via legislativa dell’art. 36 della Costituzione non comporta il riconoscimento di efficacia erga omnes del contratto collettivo ma unicamente l’utilizzazione dello stesso quale parametro esterno, con effetti vincolanti.
La scelta legislativa di dare attuazione all’art. 36 Cost., generalizzando l’obbligo di rispettare i trattamenti minimi fissati dai contratti collettivi conclusi dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, non fa venir meno il diritto delle organizzazioni minoritarie di esercitare la libertà sindacale attraverso la stipula di contratti collettivi, ma limita nei contenuti tale libertà, dovendo essere comunque garantiti livelli retributivi almeno uguali a quelli minimi normativamente imposti.
Ebbene – conclude il Supremo Collegio – la Corte di merito ha, quindi, correttamente escluso l’utilizzabilità del c.c.n.l. “Portieri e Custodi”, quale parametro ai fini del trattamento economico minimo, in quanto relativo ad un settore non sovrapponibile a quello oggetto dell’attività della datrice. Ed inoltre, tale contratto risulta stipulato da parte datoriale da un’unica organizzazione sindacale il che rende evidente il suo ristretto ambito applicativo nei casi, come quello esaminato, di pluralità di contratti collettivi applicabili.