Il Tribunale di Parma Sezione Lavoro, con sentenza del 7 gennaio 2019, n. 237, è tornato di recente a pronunciarsi su una questione di estrema attualità ovvero sulla possibile legittimità del licenziamento ove venga espressa una critica o opinione potenzialmente diffamatoria dell’azienda in una chat privata tra lavoratori.
Il Tribunale citato è stato chiamato a decidere circa la legittimità o meno di un licenziamento irrogato al dipendente sulla base di una contestazione disciplinare:
per aver proferito in non meglio specificate conversazioni Whatsapp “pesanti offese personali” nei confronti del legale rappresentante della società convenuta, idonee a lederne l’immagine professionale e personale, nonché minacce di sabotaggio aziendale.
Il Tribunale emiliano afferma:
In merito alla configurabilità di una condotta diffamatoria in una chat riservata, la Suprema Corte ha recentemente dato un parere negativo, escludendo che possa integrarsi un tal genere di condotta all’interno di un ambito privato, ove l’accesso è consentito solo a membri predeterminati, precisando altresì come le conversazioni che avvengono tramite mailing list riservate, newsgroup o chat private debbano essere tutelate ai sensi dell’art. 15 Cost., che stabilisce la segretezza della corrispondenza.
Pertanto, citando l’ordinanza 10.09.2018 n. 21965 della Corte di Cassazione, afferma che:
i messaggi che circolano attraverso le nuove “forme di comunicazione”, ove inoltrati non ad una moltitudine indistinta di persone ma unicamente agli iscritti ad un determinato gruppo, come appunto nelle chat private o chiuse, devono essere considerati alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile.
Come indicato in sentenza dal Tribunale citato, la Corte di Cassazione pochi mesi fa si era pronunciata sulla fattispecie; fattispecie che, si ricorda, ha ad oggetto la condotta diffamatoria all’ “interno di una chat riservata”.
Questione differente è l’ipotesi (non trattata dalla sentenza di merito in commento) riguardante il potenziale raggiungimento di una platea indeterminata come destinataria di un messaggio.
Al riguardo si è pronunciato il Tribunale di Busto Arsizio in data 20 febbraio 2018 con sentenza n. 62 che ha affermato:
I tweet pubblicati dal lavoratore e riprodotti nella lettera di contestazione trascendono la mera e legittima critica e rendono esplicito un atteggiamento di disprezzo verso l’azienda e nei confronti dei suoi amministratori, rappresentanti e potenziali partner commerciali.
È un diritto costituzionalmente garantito quello di esprimere il proprio dissenso rispetto alle opinioni e scelte altrui, ma i toni debbono comunque essere quelli di una comunicazione non offensiva né ingiuriosa se si intende restare nell’alveo di un dialogo, oltre che civile e costruttivo, legittimo.
Si deve tener conto, inoltre, che l’esternazione di tali opinioni è stata fatta tramite un mezzo potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone.
Pertanto, in conclusione, le fattispecie in esame vanno distinte in due macro categorie: